L'informazione senza informazioni

Il principio di base della censura moderna è di mischiare le informazioni essenziali con una miriade d'informazioni insignificanti diffuse da altrettante reti dal contenuto simile. Tutto ciò permette alla nuova censura di conservare le apparenze della diversità e della democrazia. Questa strategia di diversità si applica innanzitutto ai telegiornali, prima fonte pubblica dell'informazione, ma è con l'avvento della stampa che la discussione intorno alla censura assume proporzioni enormi.

La finezza della censura moderna risiede nel fatto che non ha censori. Questi sono stati sostituiti con efficacia dalla "legge del mercato" e dall' "indice di ascolto". Dal semplice gioco di condizioni economiche abilmente create, le reti televisive non hanno più i mezzi per finanziare un vero lavoro giornalistico, mentre allo stesso tempo, i reality show, le soap opera e le telenovelas, fanno più odience con minore investimento.

Un'informazione destrutturata per una memorizzazione minimale.
Tutti gli psicologi e i neuroscienziati sanno che la memorizzazione delle informazioni viene sempre realizzata dal cervello in modo ottimale quando queste vengono presentate in un modo strutturato e gerarchico.

Nei TG, anche le notizie importanti vengono ridotte e minimizzate ad una visione molto ristretta rispetto alla realtà. La strutturazione dell'informazione è uno dei principi fondamentali insegnati a chi studia giornalismo. Da più di 15 anni però, i telegiornali fanno esattamente il contrario, infilando disordinatamente soggetti completamente diversi e di importanza variabile (notizie di politica, un tema sociale, un fatto diverso, notizia appena arrivata, l'ultima news di politica, etc...) fino al faditico "ora cambiamo completamente argomento".

A questa serie di fatti insignificanti si aggiungono lo sport, il gossip, filmati bucolici su paesini della profonda Italia, le ricette di nonna Rosa, senza dimenticarci delle pubblicità mascherate da prodotti culturali lanciati da campagne promozionale (spettacoli, film, libri, dischi,…).

Un turbinio di parole e di intenti; un'efficace raggiro mediatico, come se lo scopo di tutto ciò fosse di ottenere dal pubblico solo una scarsa attenzione scaturita da notizie facilmente dimenticabili. Una popolazione colpita da amnesia è difatti molto più facile da gestire.

E se fosse l’ignoranza il vero problema?

Sono allarmanti, ma non hanno generato un gran dibattito, i risultati di due indagini internazionali sull’istruzione primaria e la cultura diffusa degli italiani pubblicati a cura della ricercatrice Vittoria Gallina nei saggi: “La competenza alfabetica in Italia. Una ricerca sulla cultura della popolazione”; “Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana”.

Ecco quanto evidenziato dal linguista Tullio De Mauro in un'intervista rilasciata a Piero Ricca

"Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra: sono analfabeti totali. Trentotto su cento lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta semplice e a decifrare qualche cifra. Trentatrè superano questa condizione, ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona indecifrabile. Tra questi, il 12% dei laureati. Soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea“.

Sono numeri che spiegano molte cose.
Sia chiaro: la tendenza al declino delle competenze e all’analfabetismo di ritorno riguarda tutte le società occidentali. Ma in Italia il fenomeno ha un impatto maggiore. Tant’è vero che siamo in coda all’Europa per lettura di libri e giornali. Secondo l’Istat più della metà degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno, mentre la tv generalista, pur in declino, rimane il mezzo di comunicazione dominante.

Inutile dire che l’homo videns, come l’ha definito Giovanni Sartori in un suo saggio, è assai più suggestionabile dalla propaganda e dalla demagogia rispetto alla minoranza ancora affezionata alla parola scritta. Tra i pochi intellettuali che denunciano il rischio per la tenuta della democrazia della de-alfabetizzazione di massa c’è proprio De Mauro, "La democrazia vive se c’è un buon livello di cultura diffusa". "Se questo non c’è, le istituzioni democratiche - pur sempre migliori dei totalitarismi e dei fascismi - sono forme vuote".

Prima ancora del deficit di informazione, dunque, alla radice del “caso Italia” c’è un problema di formazione, anzi meglio: di istruzione primaria. “Quanti di noi hanno la possibilità di ragionare sui dati di fatto - prosegue De Mauro - partecipando alle scelte collettive con la possibilità di documentarsi sul senso di quelle scelte?”

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